Shoah, è il Giorno della Memoria.
Oggi ricorre il “Giorno della Memoria” istituito in ricordo della tragedia dell’Olocausto e della deportazione dei cittadini italiani civili e militari nei campi nazisti.
La Shoah è “una tragica esperienza, ancora carica di insegnamenti e di valori per le nuove generazioni“. Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la celebrazione nel Salone dei Corazzieri al Quirinale del ‘Giorno della Memoria’, alla presenza tra gli altri del presidente della Camera Gianfranco Fini, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, del sottosegretario al ministero dell’Istruzione Giuseppe Pizza, del presidente dell’Unione comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e di Elie Wiesel, Premio Nobel per la pace.
Per il capo dello Stato – che prima dell’intervento ha premiato le scuole vincitrici del concorso ‘I giovani incontrano la Shoah’ – “sentire le parole dei ragazzi che studiano le persecuzioni naziste, le sofferenze e la resistenza degli ebrei deportati nei campi di concentramento e l’epilogo tragico dello sterminio, è motivo di conforto per tutti noi. Non chiediamo di meglio che trasmettere loro il testimone, a nome dello Stato“. Rivolgendosi direttamente a Wiesel, Napolitano lo saluta come “la voce più alta che potessimo aspirare di avere con noi in questa ‘giornata’” e ricorda al Premio Nobel per la pace quanto egli sia “profondamente rispettato e apprezzato in Italia: ammiriamo il suo impegno incessante a trasmettere la memoria, a testimoniarla, a lottare per la causa della libertà, dei diritti umani, della mutua comprensione e della pacifica convivenza fra i popoli“.
Il senso del Giorno della Memoria
Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli di Auschwitz. Le immagini che apparvero agli occhi dei soldati sovietici che liberarono il campo, sono impresse nella nostra memoria collettiva. Ad Auschwitz, come negli innumerevoli altri campi di concentramento e di sterminio creati dalla Germania nazista, erano stati commessi crimini di incredibile efferatezza. Tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e gli altri popoli e categorie oppressi, ma contro tutta l’umanità, segnando una sorta di punto di non ritorno nella Storia.
L’uomo contemporaneo, con il suo grande bagaglio di conoscenze, nel cuore del continente più civile e avanzato, era caduto in un baratro. Aveva utilizzato il suo sapere per scopi criminali, tramutando quelle conquiste scientifiche e tecnologiche, di cui l’Europa era allora protagonista indiscussa, in strumenti per annichilire e distruggere intere popolazioni, primi fra tutti gli ebrei d’Europa.
Da quel trauma l’Europa e il mondo intero si risvegliarono estremamente scossi. Si domandarono come era stato possibile che la Shoah fosse avvenuta. E, soprattutto, quali comportamenti e azioni mettere in atto per scongiurare che accadesse di nuovo.
Dalla consapevolezza dei crimini di cui il nazismo si era macchiato nacque nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti umani, promulgata dalle Nazioni Unite allo scopo di riconoscere a livello internazionale i diritti inalienabili di tutti gli uomini in ogni nazione.
La consapevolezza di ciò che era stato Auschwitz fu tra gli elementi fondamentali per la costruzione, identitaria prima ancora che giuridica, della futura Europa unita.
Scriveva il filosofo Theodor Adorno che dopo Auschwitz sarebbe stato “impossibile scrivere poesie”, intendendo rendere l’idea di quali implicazioni radicali comportava assumersene la responsabilità, negli anni della ricostruzione e della nascita dell’Europa unita.
Era indispensabile stabilire con esattezza ciò che l’Europa non sarebbe stata. Alle radici dell’impostazione ideale dell’attuale Unione Europea c’è il rispetto per la dignità umana e il rigetto per ciò che era accaduto, sia prima che durante la guerra, a causa di idee razziste e liberticide. Auschwitz è la negazione dei principi ispiratori dell’Europa coesa, economicamente, socialmente e culturalmente avanzata che conosciamo oggi.
Il 27 gennaio 2010 il Giorno della Memoria si celebra in Italia per la decima volta. Dieci anni sono passati da quando fu chiesto all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di partecipare all’attuazione delle iniziative, promosse dalle istituzioni dello Stato italiano e in particolare dal Ministero dell’Istruzione, che avrebbero caratterizzato lo svolgimento di questa giornata. Oggi il Giorno della Memoria è diventato un’occasione fondamentale, per le scuole, di formare tanti giovani tramite una importante attività didattica e di ricerca.
Da allora l’ebraismo italiano si è a più riprese interrogato sul modo di proporre una riflessione che non fosse svuotata dei suoi significati più profondi, riducendosi a semplice celebrazione. Al di là delle giuste, necessarie parole su Shoah e Memoria, crediamo infatti che occorra cercare di perpetuare il senso vero di questo giorno.
Molti sono stati in questi anni gli studi, gli articoli, le riflessioni, le pubblicazioni di studiosi e intellettuali che hanno tentato di definire e ridefinire costantemente il senso della Memoria.
Esiste infatti una problematica della relazione tra Storia e Memoria. La Shoah è ormai consegnata ai libri di Storia, al pari di altri avvenimenti del passato. Pochi testimoni sono rimasti a raccontarci la loro esperienza. Si potrebbe ipotizzare una Memoria cristallizzata nei libri, come un evento importante ma lontano nel tempo, da studiare al pari di qualsiasi altro capitolo di un libro scolastico, con il rischio di rendere distante il significato e la ragione vera per cui il Giorno della Memoria è stato istituito per legge.
L’umanità esige che ciò che è avvenuto non accada più, in nessun luogo e in nessun tempo. E’ di enorme importanza che le nuove e future generazioni facciano proprio questo insegnamento nel modo più vivo e partecipato possibile, stimolando il dibattito, le domande, i “perché” indispensabili per la comprensione di quei tragici eventi.
Scriveva la filosofa Hannah Arendt, che il male non ha né profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E’ una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.
La filosofa che forse più in profondità ha studiato le aberrazioni del nazismo, coniando quella ormai famosa espressione, “la banalità del male”, riferita a uno dei principali esecutori della Shoah, dà una definizione di tetra neutralità e ignavia a chi non pensa, a chi non riflette, a chi non ha idee proprie, a chi non dà valore e giudizio alle proprie azioni e alle loro conseguenze. La Arendt collega il “bene” direttamente al pensiero, fonte vitale di comprensione del mondo.
Favorendo noi una riflessione vivace nei ragazzi, renderemo forse il servizio migliore a questo Giorno che, per essere vissuto nel modo più autentico, necessita di un pensiero non statico, non nozionistico.
Occorre fornire alle nuove generazione gli strumenti, anche empirici, per riflettere su cosa l’umanità è stata in grado di fare, perché non accada mai più.
Questo, forse, è il senso più vero del Giorno della Memoria, ed è un bene prezioso per tutti.
Renzo Gattegna, Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane